una riflessione sul lasciare andare il passato per una vita creativa.
“L’uomo chiese una volta all’animale: perché non mi parli della tua felicità e soltanto mi guardi? L’animale, dal canto suo, voleva rispondere e dire: ciò deriva dal fatto che dimentico subito ciò che volevo dire – ma subito dimenticò anche questa risposta e tacque; sicchè l’uomo se ne meravigliò. Ma egli si meravigliò anche di se stesso, per il fatto di non poter imparare a dimenticare e di essere continuamente legato al passato: per quanto lontano, per quanto rapidamente egli corra, corre con lui la catena.” F. Nietzsche
Senza memoria, forse l’uomo non sarebbe uomo, non sarebbe progredito dall’età della pietra fino alla tecnologia dei nostri giorni. Senza storia, senza passato, senza cultura, l’uomo non sarebbe uomo sapiens ma un qualunque animale, tra gli altri animali.
Senza memoria non avremmo neanche la nozione di “io” : cos’è in fondo l’”io” se non un grappolo di ricordi che riferiamo ad una stessa identità, quella che sappiamo di essere; ma senza memoria non ci sarebbe neanche “il Mondo” così come lo intendiamo, se la memoria non mettesse insieme quella serie di visioni che, senza di essa, sarebbero entità sempre nuove e senza rapporti tra di esse.
Eppure “osserva il gregge che ti pascola innanzi – scrive ancora Nietzsche – esso non sa cosa sia ieri, cosa oggi, salta intorno, mangia, riposa, digerisce, torna a saltare, e così dall’alba al tramonto e di giorno in giorno, legato brevemente con il suo piacere-dolore, attaccato cioè al piuolo dell’istante, e perciò, né triste né tediato….”
Vivere il qui e ora, vedere le cose e noi stessi con occhi sempre nuovi, sono valori che un essere umano che tende alla propria autorealizzazione, considera come chiavi fondamentali della propria crescita: si tratta di liberarsi dalle catene del passato, dalle idee infantili su noi stessi e sul mondo, dai pregiudizi sociali.
Il compito che abbiamo è allora quello di coniugare memoria e capacità di lasciare andare il passato.
Come fare? Dimenticare è impossibile: si può rimuovere il passato e rigettarlo nell’inconscio, si può far finta di non ricordare, ma, prima o poi , le catene del passato rumoreggiano mentre camminiamo.
Imparare a dimenticare allora può significare non permettere che il nostro passato ci governi, diventi l’unica guida per vivere il presente. Le esperienze sono fondamentali per la nostra crescita: la loro essenza, l’insegnamento che ci offrono faranno parte di noi , ma di un noi, che, se digerisce il passato, come un alimento che si trasforma nel nostro corpo, diventa più forte, più saggio e aperto per vivere un presente sempre nuovo.
Il passato, dunque, ci incatena quando non è “digerito”; quando le esperienze che contiene non si trasformano in alimento per la nostra crescita.
I passato, non soltanto quello nostro personale ma anche quello familiare, chissà da quante generazioni, possiede una forza molto grande, tale da governare spesso la nostra vita.
Reazioni infantili, comportamenti ripetuti che non donano alla nostra vita quella luce e quel colore di un atto nuovo e fresco, creativo.
Credo vi sia una condizione ineludibile per poter “digerire”, abbandonare il passato, ed è la sua totale incondizionata accettazione. Guardare il nostro passato, quello non digerito soprattutto, con assoluta accettazione significa poter guardare, fatti, avvenimenti, le scelte che definiamo “sbagliate”, come parte della manifestazione del Tutto, o se preferiamo un linguaggio più spirituale, la manifestazione divina attraverso di noi.
E dunque se apro gli occhi, se ho voglia davvero di vedere e riconoscere la mia storia e gli eventi interiori ed esterni che la hanno determinata, se sono disponibile a riconoscere ogni aspetto di quel me stesso nel passato, e se saprò vederne l’assoluta necessità e dirmi “va bene!” con tutto il cuore e con la mente consapevole della sacralità di tutto quanto è stato, è e sarà, ebbene potremo vivere “, attaccato al piuolo dell’istante, e perciò, né triste né tediato….”