Virus e corpo

Virus e corpo.
Dedicato agli istruttori Rio Abierto e a chi ritiene che il corpo umano sia un corpo sociale.

Ho dedicato gran parte della mia vita ad un sistema di lavoro interiore collegato al corpo, la sua fisicità come possibile espressione di un’anima fatta di qualità spirituali come l’intelligenza, l’affettività, l’energia vitale: Rio Abierto.

È un’attività dove si sta insieme, vicini, e ci si muove in sincronicità in uno spazio perlopiù chiuso, e, in qualche modo, il mio respiro è il respiro degli altri, non solo metaforicamente.

Apprezzo e do il massimo valore a tutti quegli istruttori del Sistema che in diretta facebook o altri sistemi audiovisuali, dirigono lezioni di movimento tra il divano del salotto e una cucina intravista sullo sfondo e seguite sullo schermo del computer da allievi, in solitudine, che poi ringraziano l’istruttore stimolato da tanta buona volontà a non interrompere una pratica e una filosofia di vita nella quale crediamo.

Ma quando vedo questi filmati mi prende tristezza e mi sembrano patetici.

Non sono certamente patetici quegli operatori che lo svolgono; è patetica la situazione dove non possiamo ammettere e concepire che il mondo, e soprattutto la nostra visione del mondo, vada verso un periodo, non sappiamo quanto lungo (forse “per sempre”?), dove il “distanziamento sociale”, sarà la regola.

Dall’altro canto, penso che sia bello ed utile poter continuare, anche a distanza, ad esercitare il corpo e avere un contatto affettivo con le care persone con cui lavoravamo, come per me è bello e indispensabile poter seguire la crescita della mia nipotina, grazie a whatsapp, e simultaneamente sono triste per non poterla abbracciare e sentire il suo corpicino tra le mie braccia.

Le attività motorie come quella Rio Abierto, pur di una dimensione non certo grandissima, fa corpo con le altre tantissime attività artistico-culturali per svolgere le quali è impossibile, assolutamente impossibile rispettare l’ormai obbligatorio distanziamento.

Pensate ad un’orchestra dove i musicisti che suonano strumenti a fiato soffiano aria dai propri polmoni di continuo sui colleghi vicini, e tutta l’orchestra ha un senso estetico/acustico se suona insieme, uno accanto all’altro, a meno di un metro, senza citare i cantanti.

E che dire del teatro?

Se trasportato alla televisione o su YouTube, non è più teatro!

Senza dire che le reti televisive giammai lascerebbero uno spazio alle compagnie teatrali sottraendo spazio alle becere trasmissioni del tipo “Amici” o “grande fratello”.

Ma soprattutto ben conosciamo la magia del teatro dove il pubblico è il carburante affettivo e intellettuale che permette la recitazione degli attori sulla scena.

Potrei continuare per molte pagine a citare attività che non sopravvivrebbero nel “distanziamento sociale”, per la loro intrinseca natura.

Nel suo piccolo Rio Abierto è una di queste.

Ma queste attività, non lo scordiamo, ci invitano a ricordarci che il corpo è imprescindibile nella vita sociale.

Quando sentiamo parlare di lavori da casa collegati in rete o altre forme aberranti di rispetto del distanziamento, come quella di non poter andare più in pizzeria con amici, e che la pizza ce la porta a casa un rider con mascherina e guanti, sono triste e vedo che si trascura di considerare questa imprescindibilità del corpo nella nostra vita individuale, affettiva e sociale.

Cosa comunicherà mai il corpo, col suo linguaggio, dinanzi alla telecamerina del computer?

Quelle che spesso definiamo inesplicabili “energie sottili” che si irradiano da un movimento guidato dall’anima, saranno percepibili via facebook?

Ma soprattutto la comunicazione in gruppo dove ognuno apporta la sua energia per creare un’energia più grande che ritorna poi sull’individuo come il riflusso di un’onda, sarà proibita per sempre?

Credo che il problema era nato prima del corona; pian piano i mezzi di comunicazione telematici (teleos significa lontano) ci trasformava sempre di più in eremiti socialmente connessi con tutti gli altri e tutto il mondo; da lontano, ben distanziati socialmente tanto che i miei amici su Facebook neanche li conosco!

I teatranti, i concertisti, le pizzerie, il bar dove incontrarmi con gli amici e le attività motorie come quella Rio Abierto, viene privato dell’essenza del proprio lavoro: permettere la connessione degli essere umani senza schermi, direttamente, sguardo vivo che incontra altri sguardi vivi, corpi che incontrano altri corpi per una comunicazione integrale, quell’integrazione che predichiamo come principio della nostra visione dell’essere umano.

Credo che tutto questo vada oltre il porvi rimedio con una lezione di movimento via facebook in attesa di ritornare alla normalità.

Credo che ognuno debba manifestare il proprio pensiero riguardo a tutto ciò, farci sentire, forse protestare, forse smettere di essere troppo buoni, entrare in contatto con altri nella nostra stessa situazione e ruggire insieme (se ti fai troppo pecora, il lupo ti mangia!); immaginare soluzioni non miserabilmente ridotte all’adeguamento ad una realtà che ci vuole separati e aspettare che il Dio scienza ci salvi: un nuovo dio che barcolla nel buio aspettando che il potere delle case farmaceutiche trovi il vaccino per sette miliardi di abitanti della terra e nel frattempo: terrore e facebook.