La teoria dei contenitori
G. Ieri in una lezione su Nietzsche spiegavo la sua teoria dell’eterno ritorno, cioè che tutto quel che stiamo vivendo o che abbiamo vissuto, tutte le cose e tutti gli eventi del mondo ritorneranno infinite volte in maniera assolutamente identica al passato. Spesso penso che questa teoria sia alquanto balorda; ma poi mi chiedo se non sia una metafora della nostra ripetitività psichica.
R. Gurdjieff la chiama meccanicità, cioè il vivere come una macchina se non avviene un risveglio interiore, cioè vivere più consapevolmente. Le macchine ripetono infinite volte le loro funzioni in maniera assolutamente uguale. Insomma, aveva ragione il buon Freud: crediamo di essere padroni in casa nostra e che le nostre azioni siano l’espressione delle nostre libere scelte e invece siamo condizionati da qualcosa che agisce in noi automaticamente.
G. Le nostre libere scelte !! Da qualsiasi parte inquadriamo il problema sembra che questa libertà sia solo un contentino che ci siamo inventati per darci importanza e sentirci superiori al resto dell’Universo.
R. eppure non mi rassegnerei così facilmente alla perdita della libertà. Ovvero siamo d’accordo su quel che altre volte abbiamo detto a proposito dell’Essere e cioè che tutto già è, da sempre e per sempre e dunque , poiché il film già è stato girato, non ci resta che goderci lo spettacolo; ma il film potrebbe avere come personaggio qualcuno che si senta libero.
G. oppure che la trama del film sia di un tale che è prigioniero dei propri meccanismi e che , grazie a quella consapevolezza di cui parlavi, si liberi e non funzioni più come un automa ma piuttosto manifesti una imprevedibile creatività !
R. Insomma un “happy end”
G. Non necessariamente: anche la tragedia ha il suo incanto ! pensiamo ad Amleto, che con i suoi dubbi finisce poi per esercitare una libertà per la quale muoiono proprio tutti ! L’importante sarebbe che la terribile macchinazione che mette in atto, sia l’espressione della sua libertà creativa e non di una reazione meccanica. In fondo la morte stessa è una finzione del film…. Chi crederebbe che gli attori sul palco davvero muoiano ? Sappiamo bene come resuscitino volentieri per ricevere gli applausi.
R Commedia, farsa o tragedia è sempre interessante seguire una storia che ci sorprenda e ci offra l’illusione di essere liberi.
G. In fondo l’illusione è parte della storia e affinché la rappresentazione della nostra vita sia credibile dobbiamo recitare la parte di esseri liberi; e , per attuarla al meglio, dobbiamo crederci per davvero.
R. in fondo, anche noi che crediamo di aver smascherato l’illusione della libertà, ci comportiamo come se la libertà ce la avessimo per davvero; che il caffè schiumato che ho ordinato a quel cameriere sia una scelta libera perché avrei potuto anche ordinare una coca cola.
G. ma ritorniamo alla meccanicità e alla conquista della libertà! Al film che ci piacerebbe interpretare. Come sarebbe la storia al livello psicologico ?
R. Io mi sono inventato una teoria: la teoria dei contenitori.
G. dei contenitori ?
R. ti spiego: in genere si è indotti a credere, osservando la realtà con l’aiuto del cosiddetto “buon senso comune” , che i nostri problemi, di qualsiasi genere, siano determinati da circostanze perlopiù avverse e che la soluzione sia quella di trovare un giusto atteggiamento, un giusto comportamento per risolvere il problema di turno.
G. Mi piace che dici “il problema di turno” perché, in verità quando si risolve un problema, immediatamente ne viene fuori un altro. Spesso mi sembra di essere un impiegato postale allo sportello con una coda interminabile.
R. allora bisogna cercare di raggruppare i problemi per similitudine, cercare di trovare un genere che comprenda sotto di sé tanti problemi specifici che solo all’apparenza sembrano diversi: in realtà sono simili o, in altri termini, hanno la stessa radice. Insomma se sono troppo spesso arrabbiato o triste o depresso e così via, sono indotto a credere che lo stato negativo nel quale sono caduto, sia determinato da qualcosa o qualcuno, e se riuscirò a neutralizzare quel qualcosa o qualcuno, il problema scomparirà.
G. Ed è pur vero che se scompare la causa, anche l’effetto e cioè il mio stato negativo dovrebbe scomparire.
R. E’ proprio così ! Eppure come mai poco dopo, in un’altra situazione , in presenza di una causa diversa, mi arrabbio o mi deprimo ancora ? E via dunque a cercare una nuova soluzione per poi trovarmi con il nuovo problema che, in fila, come alla posta, attendeva il suo turno.
G. Tu vuoi dire dunque che a fregarci è il nostro temperamento o il carattere, che ci fanno reagire e soffrire sempre allo stesso modo
R. Fuochino !! Ci avviciniamo alla teoria dei contenitori ! Essa, tuttavia, non parte dalle emozioni che si attivano di fronte ad un problema interno o esterno che sia; ma piuttosto dall’interpretazione della realtà. Una certa maniera d’intrepretare la realtà induce emozioni diverse che sono dunque la conseguenza e non l’origine del problema o del malessere.
G. ma cosa sono allora questi contenitori?
R. E’ come se le impressioni, le esperienze, insomma quel che viviamo è accolto, all’interno della nostra psiche, in uno spazio che non è amorfo o uguale per tutti. In realtà è un contenitore , come un vaso con una sua forma particolare. La forma di questo contenitore, inoltre, dipende dalla nostra maniera di interpretare la realtà che ci riguarda.
G. Interessante ma non mi ancora del tutto chiaro.
R. Il contenitore si forgia sulle idee che abbiamo su noi stessi, le idee su gli altri e sul mondo, sulle emozioni che queste idee suscitano e così via. Ma forse lo puoi capire meglio con un esempio. Se credo di essere un incapace cui tutto va male e, conseguentemente, proietto sugli altri le capacità che possiedo, non riconoscendo le mie proprie capacità …
G. certo certo… le mie capacità, se non le riconosco nell’ “IO”, le devo pur mettere da qualche parte ed allora le attribuisco al “NON IO” cioè gli altri… ho imparato bene le tue lezioni di psicologia?
R. Benissimo sono assai compiaciuto ! Continuando con l’esempio: facciamo l’ipotesi che per la mia formazione psicologica, il credermi incapace e credere che gli altri lo siano, mi determini inoltre rabbia e odio verso gli altri e poi, magari, un timore costante che gli altri si rendano conto delle mie incapacità e non mi amino e non mi rispettino e… così via (potrei continuare ancora, ma basta così!); tutto questo modella un contenitore particolare dove si andranno a riversare i fatti che mi accadranno, così come un liquido prende esattamente la forma nel vaso che lo contiene.
G. ma proprio tutto quel che viviamo entra nel contenitore?
R. Diciamo i dati sensibili; cioè quelle situazioni, circostanze che, anche lontanamente, risveglino i miei timori, le mie frustrazioni per sentirmi incapace, tanto per continuare con lo stesso esempio.
Insomma è possibile che un fatto oggettivamente innocuo, entrando nel contenitore prenda la forma di rabbia, senso di inferiorità, paura, atteggiamento recriminatorio e quant’altro. Ovviamente quando le circostanze o gli altri realmente ci trattano come incapaci o ci fanno sentire, anche solo velatamente tali… puoi immaginare cosa accada interiormente.
G. ecco come entra Nietzsche e l’eterno ritorno ! Sembra che la nostra vita sia un eterno ritorno di situazioni difficili che ci fanno soffrire: in realtà ,tu dici, quel che ci fa soffrire è il contenitore !
R. e quel che dobbiamo cambiare se vogliamo vivere meglio non sono le circostanze o la nostra maniera di agire dinanzi ad un certo problema; bisognerebbe piuttosto studiare come sia il nostro contenitore, come si è formato e come posso cambiarlo per un altro contenitore dove i fatti della nostra vita non siano tanto deformati.
G. Immagino sia un programma lungo quello che tu proponi. Tuttavia sarebbe un bel film, interessante da guardare, visto che non possiamo fare altro !