CULTURA E INDIVIDUALITA’

Cultura e individualità

Cercherò di dare un senso a queste due parole mettendole in relazione, cercando di trasmettere un filo logico che le unisca.
Per cominciare vorrei dire che non è un tema astratto; non intendo la cultura come un qualcosa di cui potrei essere tuttalpiù fruitore, ma non certo attore. Vorrei invece parlare di un qualcosa che riguarda ognuno di noi, la nostra espressione nella vita, il nostro valore, le nostre potenzialità e l’opportunità che abbiamo di manifestarle. Credo che l’espressione concreta del nostro potenziale sia l’unica risposta che, finora, io riconosca come qualcosa che da senso e soddisfazione alla nostra vita.
Cominciamo dalla parola cultura. Questa volta il dizionario Treccani mi offre una meravigliosa definizione da cui prendo l’avvio per questo mio percorso di pensiero:

“ Cultura è l’insieme delle cognizioni intellettuali che una persona ha acquisito attraverso lo studio e l’esperienza, rielaborandole peraltro con un personale e profondo ripensamento così da convertire le nozioni da semplice erudizione in elemento costitutivo della sua personalità morale della sua spiritualità e del suo gusto estetico, in breve della consapevolezza di sé e del proprio mondo.”

La cultura riguarda insomma ognuno di noi e non si riferisce soltanto alle esperienze intellettuali bensì a qualsiasi esperienza corporea, emotiva , mentale o spirituale. Qualsiasi esperienza di studio o di pratica concreta, cioè, trasforma il nostro modo di pensare, sentire, agire, perché offre alla nostra mente una maniera di vedere noi stessi , le persone e le cose intorno a noi. La nostra weltanschauung, cioè la nostra visione del mondo, è continuamente trasformata dalle esperienze e soprattutto, come la definizione citata ci induce a riflettere, dalla personale e profonda elaborazione di quelle esperienze. Così elaborati i nostri studi, le nostre esperienze di vita, gli insegnamenti che riceviamo, diventano la nostra personalità morale, la nostra spiritualità , in breve “la consapevolezza di noi stessi e del nostro mondo”.
Psicologicamente potremmo tradurre quest’ultima enunciazione come la consapevolezza della nostra identità specifica. Essa definisce in maniera singolare quella natura interiore caratteristica dell’intera specie umana.
E qui entra il secondo termine: l’individualità che si contrappone alla specie, all’umanità tutta.
Ma l’umanità tutta è costituita da miliardi di elementi singoli, d’individualità. In genere, tuttavia, la consapevolezza che abbiamo di noi stessi si limita ad abbracciare perlopiù gli aspetti carenti della nostra persona, piuttosto che quelli virtuosi o creativi (tali sono le nevrosi che ordinariamente soffriamo, e che qualsiasi tipo di psicologia affronta. Blay a questo proposito parlava di un “io idea” a proposito di quel che, riduttivamente, crediamo di essere)
Sicché il nostro piccolo io tende a credere che la cultura sia qualcosa prodotta da “persone speciali” , artisti, intellettuali, politici ecc. Le cosiddette “persone speciali” ,poi, è possibile che siano persone con particolari attitudini e capacità; oppure megalomani che , con una modalità che in psicologia è definita come controfobica, contrastano l’angoscia prodotta dal loro senso di inferiorità atteggiandosi a “superiori”. Quest’ultima categoria è la più pericolosa e generalmente crea disastri più o meno gravi: dagli stermini nazisti alle dipendenze psicologiche da altre persone.
Com’è, allora, il rapporto tra individualità e collettività o specie umana? E’ vero che l’umanità è “guidata” da esseri che si impongono sugli altri (per meriti, oppure per vanagloria o prepotenza). Insomma siamo i topi della favola del pifferaio magico che seguiamo la corrente o una delle correnti; e dunque la nostra creatività potrà manifestarsi soltanto nella scelta di una qualche corrente capitanata da qualche essere speciale che mi darà le norme per il mio comportamento e, quel che è peggio, mi darà la sua maniera di pensare ?
Insomma l’umanità si divide in due categorie soltanto: “pifferai” e topi ? Magari, se ci tocca stare nella categoria dei topi, per non sentirci troppo frustrati, possiamo sostenere, ammirare, diffondere e reclamizzare il nostro pifferaio: se saremo in tanti, saremo più importanti e un pezzettino d’importanza toccherà anche a noi!

Credo vi sia un errore : l’idea che vi siano cose o persone più importanti e cose o persone meno importanti o trascurabili: una specie di teoria delle caste che vergognosamente ancora sussiste in certi paesi. Nessuno è più importante o meno importante di altri. Ogni essere (essente), ogni evento, all’interno del Tutto, è assolutamente necessario e imprescindibile al Tutto. L’importanza è una categoria astratta cui non corrisponde nessuna realtà: è un niente. Quel che possiamo costatare realmente è la diversità dei ruoli. Ma essi sono tutti imprescindibili per la Realtà. Come in un’orchestra nella quale uno dei tanti strumenti che la compongono, magari con una parte minima nell’ordito della partitura, non può mancare per la completezza dell’esecuzione, ognuno di noi è voce attiva e inevitabile nell’enorme complessità del Tutto. Eppure c’è la prima tromba che , nell’attacco della quinta di Mahler, ha un ruolo da protagonista ; e che dire poi del ruolo del direttore ?
Siamo attratti da chi brilla di più, da chi fa più rumore, da chi decide sugli altri, da chi ha più potere, più soldi, più di qualcosa. E allora si sogna di diventare direttori, o perlomeno solisti; ma saremmo altrettanto bravi a dirigere così come siamo bravi a suonare la parte assegnata al secondo flauto? Ci sentiremmo a nostro agio sul podio facendo male qualcosa di diverso dalla nostra parte?
Ma qual è mai la nostra parte ? quale strumento siamo destinati a suonare ? come riconoscere la nostra vocazione ? Come evitare di sfregare un archetto su un trombone sperando che ne uscirà lo stesso suono che un grande violinista produce col suo violino?
Questo è un punto davvero importante. Ricette infallibili non credo ce ne siano; ma c’è un atteggiamento interno, una comprensione profonda che può facilitarci il compito. Sapere che sono unico, irripetibile così come, sul piano materiale e psicologico, lo è il mio aspetto fisico combinato col mio carattere, la mia maniera di pensare e sentire. Con queste caratteristiche che identificano la mia individualità, dunque, la mia parte sarà anch’essa unica, se smetto di paragonarmi , se comprendo profondamente che sarò soddisfatto di me e della mia vita proprio nella misura in cui riconosco il mio specifico potenziale. Se non vivo concretamente il mio potenziale questo diventerà motivo di profonda insoddisfazione, un peso che offusca il senso del mio esistere.
Spesso la nostra parte non è quella del protagonista, ma che importa? Siamo così miopi da non riuscire a vedere al di la del nostro naso, non ci rendiamo conto di essere un granello di polvere in un universo infinito tra milioni di galassie che , come diceva Pascal “ignoro e mi ignorano” . E’ ridicolo pensare, se consideriamo quest’ordine di grandezze, che un atomo che esprime la propria individualità dirigendo un’orchestra sia più importante di un atomo “secondo flauto”.
Io, con la mia piccola, media o grande parte sono parte del Tutto e se il tutto non comprendesse anche me sarebbe incompleto, come un puzzle a cui mancasse una tessera: subito si noterebbe la sua incompletezza. Il Tutto è perfetto così come è (il tema lo ho sviluppato abbastanza in questo Blog, con il tema dell’accettazione); perfetto significa proprio “completo”.

Insomma, ogni atomo che riconosce se stesso danza il tripudio del Tutto .

Continua ….. a breve!