Siamo tutti maestri, ma anche allievi.

Tutti siamo in una maniera o in un’altra, maestri o insegnanti di qualcosa . Nella vita privata o pubblicamente c’è sempre una tendenza a insegnare. Ed è, a mio parere, un’ottima cosa. Insegnare è, infatti, la maniera di trasmettere ad altri quelle acquisizioni che l’altro non possiede almeno in maniera cosciente. Anzi si dice che il “buon maestro” aiuti il discepolo a scoprire verità che già possiede interiormente: il maestro ne faciliti l’uscita, l’emersione alla coscienza. Citare Socrate è d’obbligo a tal proposito; la metodologia del grande filosofo viene, infatti, definita maieutica , arte ostetrica cioè l’arte di aiutare gli altri a partorire la verità“.
Verità è parola grossa ! si riferisce al vero, cioè che corrisponde alla realtà così come è . Ma, a partire da Cartesio, chi può dire qual è la realtà “vera”? Dopo molti secoli di riflessioni che ci hanno donato veri tesori di saggezza, come il criticismo kantiano ad esempio, possiamo, col beneficio del dubbio, dire semplicemente che la realtà è una nostra interpretazione delle cose e delle persone. Nessuna di queste interpretazioni esaurisce, in una visione unitaria, la complessa “realtà” del Tutto infinito ed eterno (secondo una mia interpretazione !)

In ogni modo, comunque la si intenda, quest’attitudine all’insegnamento, credo che risponda a una sana tendenza dell’essere umano: quella di desiderare ed aver piacere a trasmettere le nostre più profonde esperienze, le conoscenze acquisite che rappresentano per noi la nostra “verità” ovvero la nostra interpretazione della vita come di qualsiasi altra cosa . E gli altri ai quali trasmetto il mio “insegnamento”, continueranno a loro volta a costruire la propria “verità” sulla base, sempre più grande e solida delle esperienze pregresse. E’ la via della cultura in ogni settore.
E poi sappiamo tutti che la maniera migliore per imparare è insegnare.

Quindi ognuno di noi può e anzi deve, secondo me, assecondare questa nobile tendenza alla comunicazione, cioè a far parte dei costruttori della grande cattedrale della cultura. Non importa avere un solo allievo (semmai un amico o un familiare) oppure avere il teatro pieno ad ascoltarti come maestro di vita e di conoscenza.
Poi ci sono tanti che lo fanno per mestiere: maestri e professori vari, formatori professionali, psicologi e assimilati, e così via. E non c’è nulla di male perché, c’è da dire anche, che alcuni hanno abilità maggiori per insegnare ed è giusto che lo possano fare come lavoro, peraltro utilissimo.
Piccolo o grande che sia il tuo ruolo nell’insegnare la tua esperienza, la tua conoscenza , le tue “verità”, tu sei un costruttore di cultura. Penso che siamo così in tanti i costruttori anonimi, quelli a cui sembra di costruire soltanto pochi centimetri di parete della Cattedrale; e dunque se siamo tanti, se siamo la maggioranza, la nostra azione costruisce molto di più che i grandi blasonati della cultura in ogni settore.
Tuttavia per esercitare la funzione di insegnante, non è necessario conoscere pienamente la disciplina oggetto dell’insegnamento, ma neanche improvvisarsi insegnanti al di sotto il limite della decenza, come certi politici incompetenti che ci governano!. Vale a dire che pur possedendo una decente formazione nel settore dove mi interessa insegnare, posso e devo , allo stesso tempo che insegno, continuare ad apprendere sempre più approfonditamente quel che insegno. In tal modo posso vivere quella gratificante esperienza di essere allo stesso tempo maestro e allievo. Capirei che tutti sono maestri e discepoli allo stesso tempo, e con pari dignità.
Molti dei miei lettori già conoscono quest’esperienza ed allora può essere utile condividere quei pericoli o quelle trappole nelle quali cadiamo rendendo inautentica la nostra comunicazione.

Per far questo prenderò lo spunto da alcuni aforismi che ho trovato sul tema:

“Se insegni, insegna anche a dubitare di ciò che insegni.”
Josè Ortega y Gasset Filosofo e saggista spagnolo ( Madrid 1883 -1955)

E’ facile credere che le “verità” che scopriamo e delle quali siamo convinti, rappresentino l’unica verità e tutti gli altri che dissentono siano in errore. E’ l’atteggiamento delle religioni che pretendono che si creda che le verità che enunciano siano dettate direttamente da Dio in persona. La convinzione che Dio ci trasmette una verità unica spesso si maschera attraverso la sostituzione del dio della religione con un nuovo “dio” che può essere un sistema di pensiero, una filosofia, un movimento politico, una metodologia inventata da un qualche maestro ecc. Il mondo è pieno di nuove religioni, tutti ne abbiamo una; ma quel che è importante è non considerare nulla come verità definitiva e incontrovertibile anche se ce la dice il nostro “dio” nelle vesti dell’ideologo, maestro ecc.
Impara a dubitare ovvero non chiudere la porta a nuove interpretazioni anche se vengono dalla scuola opposta, cioè da un’angolazione opposta che , proprio per questa opposizione, può arricchirmi non poco.

Un uomo che insegna può facilmente diventare ostinato, perché fa il mestiere di uno che non ha mai torto.
Montesquieu: Filosofo, storico, pensatore francese (1689 –1755)

Puoi avere torto: è un diritto della conoscenza e puoi cambiare idea contestando quello in cui credevi antecedentemente. La coerenza non è un valore che riguardi la conoscenza. Popper diceva che una teoria scientifica per essere tale deve contemplare la possibilità di essere erronea.
E poi: è più importante la tua coerenza e la tua presunta infallibilità o una conoscenza più profonda che ti convinca di più di quella precedente?

Si ripaga male un maestro, se si rimane sempre scolari.
Nietzsche

Ahimè ! questa è la cosa peggiore! Rimanere attaccati agli allievi e volere che restino per sempre tali ! E, dal punto di vista dell’allievo, non avere mai il coraggio di dispiegare le proprie ali per la propria ricerca, per andare oltre il maestro. Se non lo fai resti solo un cortigiano intellettuale: non regnerai mai sulla tua conoscenza. Insomma un antico proverbio cinese dice: “Il Maestro apre la porta ma tu devi entrare da solo”

Ci sarebbe da continuare per pagine e pagine ma ti ringrazio di avermi seguito fin qui e concludo con una bellissima storiella che ci racconta il grande Gianni Rodari:

C’era una volta un cane
che non sapeva abbaiare.
andò da un lupo a farselo spiegare,
ma il lupo gli rispose
con un tale ululato
che lo fece scappare spaventato.
Andò da un gatto, andò da un cavallo,
e – mi vergogno a dirlo –
perfino da un pappagallo.
Imparò dalle rane a gracidare,
dal bove a muggire,
dall’asino a ragliare,
dal topo a squittire,
dalla pecora a fare « bè bè »,
dalle galline a fare coccodè.
Imparò tante cose,
però non era affatto soddisfatto
e sempre si domandava
(magari con un « qua qua »…):
– Che cos’è che non va?
Qualcuno gli risponda, se lo sa.
Forse era matto?
O forse non sapeva
scegliere il maestro adatto?