La mia identità è tutta lì: nel film della mia vita

DIALOGO

… Renè e Gustavo oggi parlano di psicologia e della formazione della personalità e Gustavo chiede a Renè come concepisce il concetto di identità della persona….

R. L’identità , a livello psicologico, potrebbe essere riassunta dalla risposta alla domanda “chi sono”, e solitamente la risposta, se fosse sincera e non una vanitosa vendita di se stessi, è che siamo al di sotto del modello che ci viene trasmesso dai genitori e dalla società, e quindi abbiamo poco valore perché non siamo in grado di soddisfare quel modello. Ne abbiamo già parlato tante volte!

G. ma questa teoria si presuppone che il bambino abbia una capacità di rendersi conto di un meccanismo psicologico che non credo possa essere concepito o compreso da una mente infantile.

R.E’ certo che il bambino non ha mentalmente la capacità di astrazione per comprendere teorie psicologiche sulla base delle quali riconoscere se stesso. Anzi il bambino non si pone neanche la domanda “chi sono”, vive e basta. Ma soffre anche, senza capire perché, anzi sentendosi in colpa oppure sentendosi inferiore agli altri, eccetera. E’ qualcosa che riguarda sensazioni, sentimenti e pensieri magari confusi e condizionati dalla visione spesso distorta dei “grandi”. Ognuno può ricordare quei momenti dell’infanzia dove solitamente si soffre; io perlomeno me ne ricordo!

G. E, secondo te, si potrebbe evitare questa sofferenza infantile?

R. Non credo proprio. A meno che non si concepisca una società evoluta a tal punto da poter riconoscere il valore intrinseco e speciale di ognuno di noi… roba che si vede solo nelle pubblicità televisive fatte per vendere l’ultimo modello dell’auto X

G. Tutto accader per assoluta necessità !

R. Ed alcuni , necessariamente, sentono il limite di un’idea negativa di se stessi e cercano un’uscita, la scoperta di qualcosa di più grande delle idee che abbiamo accettato da piccoli: “la vita è così o tu sei cosà” eccetera.

G. E questa sarebbe la funzione della psicologia!

R. Che può far comprendere alla persona che cerca la via d’uscita che è’ del tutto giustificato che il bambino si faccia un’idea di se riduttiva e carente e che non riconosca le sue potenzialità, anzi dinanzi alle richieste dei genitori-società, sente di non avere sufficienti risorse per soddisfarle; e dunque quel che può fare è adottare meccanismi di difesa e strategie per conquistare la benevolenza o l’attenzione del mondo. E nasce così un“personaggio” che sarà il protagonista del film della nostra vita e che possiamo riconoscere.

G. Vuoi dire che dunque la persona si scinde in una realtà autentica ma nascosta, e cioè la reale identità con le sue potenzialità e un personaggio che recita una parte inautentica ma funzionale all’accettazione sociale?

R. Oppure al rifiuto sociale nei casi in cui pur di avere attenzione il bambino scopre che se grida, se si ribella se da filo da torcere ai genitori, a scuola, ottiene un’attenzione che, sebbene negativa, è pur sempre attenzione e ci si può sentire importanti anche così.

G. Giusto !

R. Questa scissione di cui parli è la maniera più consueta di inquadrare questo tema. Molti, anzi troppi, parlano di una parte autentica e un’altra falsa, oppure di un Sé e di una personalità che spesso viene anch’essa definita “falsa” , eccetera. Penso tuttavia che questa maniera di inquadrare le cose ci faccia cadere dalla padella alla brace; non ci conduce cioè alla liberazione dai modelli che ci condizionano, il più delle volte, negativamente! In realtà al modello proposto dai genitori e dalla società si sostituisce un altro modello/dovere che ci induce a credere che per essere realizzati e felici bisogna abbandonare la personalità, nella quale siamo calati la maggior parte del tempo, e traslocare nella più degna dimora dell’essenza, anima, Sè o come diavolo la vogliamo chiamare.

G. E già è proprio il diavolo a separare, opporre, negare; in questo caso la separazione avverrebbe tra la cosiddetta personalità e l’anima, essenza, il Sé superiore e così via… Suona molto a Platone: è stato lui l’inventore di questa divisione!

R. Ma in tal modo cambiano gli attori ma la sceneggiatura del film resta la stessa: la “diabolica” separazione che al posto dei genitori vedrà adesso maestri spirituali, oppure i teoremi di qualche americano che sul palco di un teatro ti dice che sei grande e puoi dimostrarlo; mentre tu dalla tua sedia ti rendi conto che non sarai mai come lui, spavaldo, sicuro di se e pieno di soldi e quella vocina che da bambino mi faceva sentire inadeguato può riemergere dicendomi che non riuscirò mai a santificarmi, a realizzarmi pienamente, ad essere come qualcun altro mi dice che dovrei essere.

G. Ma è pur sacrosanto avere un obiettivo, una meta ambita, essere su una strada che mi porterà da qualche parte: a realizzarmi ad esempio!

R. Io sono piuttosto convinto, scandalosamente, che non c’è bisogno di guardare al futuro perché la mia realizzazione è già avvenuta appena sono nato e mi accompagna in ogni momento della mia vita, solo che ho la mente piena di divisioni: tra quel che sono e quel che potrei essere, tra il futuro e il passato, tra il cosiddetto io ordinario e quello “vero” profondo.

G. Ma se già sono realizzato dovrei essere felice e in pace con me stesso ed il mondo e invece non sono sodisfatto e mi sforzo per cambiare continuamente me stesso, gli altri, il mondo. Insomma cosa significa essere già realizzato !?

R. Tu mi insegni che realizzazione è derivato di “reale”, res in latino, cioè cosa, qualcosa che è, esiste. Una mancata realizzazione non può esistere perché qualcosa che non c’è o non c’è ancora, non è reale, non è res e non può riguardare una realizzazione. Insomma come il discorso sul nulla che non esiste. La realizzazione futura è un niente, non è reale e non può chiamarsi nè realizzazione né con altro termine in quanto non esiste. Tuttalpiù potremmo parlare di fantasie, immaginazioni e proiezioni.

G. ma anche quelle fantasie sono reali, sono una res, un qualcosa; e poi servono a orientare il nostro cammino, il nostro agire che magari si tradurrà in un “qualcosa” di reale. Insomma mi pare che stai parlando come un sofista, in maniera astratta: non è da psicologo!

R. Così mi metti in crisi e devo ammettere che il tema non è del tutto risolto dentro di me. E non parlo solo dell’aspetto logico, mentale, quanto piuttosto di quello propriamente psicologico perché, come tutti, mi ritrovo a programmarmi per il futuro a impormi doveri e proibizioni per essere migliore e così via. Ma sono alla ricerca di un uovo di Colombo che mi riveli la possibile convivenza tra le buone intenzioni, le proiezioni sul nostro futuro, l’immaginazione e il destino, cioè la forte sensazione e il convincimento sincero che non c’è nulla da fare, tutto è già nel destino, cioè nell’Essere che è, non che diviene…. Insomma tu sei filosofo e mi capisci !

G. Forse hai bisogno di un po’ di filosofia; non per svalutare la tua professionalità ma questi nostri colloqui mi rendono sempre più convinto che la psicologia da sola non ce la fa. Si arriva ad un punto dove sembra non vi sia uscita ragionevole. C’è bisogno di un grandangolo per scoprire una realtà più grande che includa quelle della nostra vita psichica e non la isoli in una visione solamente introspettiva.

R. Forse per questo che siamo amici e parliamo tanto !

G. inquadriamo allora di nuovo il problema: ci siamo noi così come siamo e, quel che siamo comprende le nostre fantasie sul futuro migliore che vorremmo realizzare per noi stessi.

R. A questo punto, e ti parlo da psicologo, quel che siamo e quel che vorremmo essere si combinano e si traducono in un giudizio: così come sono non va bene e mi devo sforzare per essere migliore. E dunque come dicevo prima il “come dovrei essere” è il nuovo modello da seguire, la solita spina nel fianco.

G. Ecco ! E poi c’è il tuo richiamo alla realtà che è necessariamente così come è. E dunque sforzarsi per “realizzare” se stessi significa vaneggiare su un futuro migliore che non è o non è ancora e cioè è nulla ! Eppure vagheggiare su questo nulla è Realtà ! E c’è poi da tener presente che tutti, anche tu, vagheggi e ti dai da fare per determinare un divenire migliore.

R. che direbbe allora la Filosofia ?

G. Qualcosa che non è facile accettare e cioè che crediamo reali due concetti che tali non sono se non a livello mentale, fantasie, mi verrebbe di usare questo becero anglicismo, due fake news: e cioè il divenire nel tempo e la volontà. In realtà di news non c’è nulla e, a memoria d’uomo, tutte le morali ti convincono che puoi cambiare la realtà secondo la tua volontà. Per questo che il mio punto di vista è inaccettabile! Insomma grazie al concetto di tempo si pretende che diventi reale qualcosa che non esisteva prima, mettiamo, ad esempio una mia migliore maniera di essere; e dunque si passerebbe da un “prima” che è la mia maniera di essere che la morale, la famiglia o o il fanfarone americano mi rimproverano, a un “dopo” cioè una mia nuova maniera di essere conforme al “dover essere”. E questo, ripeto, grazie alla volontà che sarebbe in grado di creare un qualcosa di diverso, rendere reale una fantasia su come dovrei essere. In altri termini la mia agognata maniera di essere, da fantasia diventa reale cioè passi dalla non esistenza all’esistenza. Mi segui?

R. Con difficoltà ma ti seguo

G. L’essere, cioè tutto quel che esiste, non può venire dal nulla perché dal nulla non si genera nulla! Dunque qualsiasi cosa esista non è mai stata creata (la creazione è un’altra old fake) ma esiste , al di fuori del tempo, da sempre e per sempre. E questo vale per il prima e per il dopo, per le fantasie e per la realizzazione delle fantasie. Tutto è già lì, nel film girato da sempre, solo che noi ne vediamo una sequenza alla volta. Insomma come diceva Kant il tempo, cioè il prima e il dopo, il principio causa effetto ed altre categorie della conoscenza, sono nostre maniere di percepire la realtà ma non sono delle realtà assolute; sono realtà in quanto lenti che usiamo per conoscere noi stessi e il mondo e non possiamo fare a meno di vedere le cose così, un pezzettino alla volta.

R. Dunque ci illudiamo di cambiare le cose!

G. non solo ma le cose sono ancor più complicate quando nel film già girato (in realtà non è stato mai girato, cioè creato; è li da sempre) vi è pure la mia volontà, i miei desideri, le mie proiezioni sul futuro. Insomma è come se in un film il protagonista, che fa l’impossibile per salvare il mondo dai cattivi, possa fare qualcosa di diverso da quel che la pellicola mostra. Ma tutto l’impegno, le peripezie, le decisioni che l’attore recita con convinzione ci creano l’illusione e la speranza che il finale sia “tutti felici e contenti”( tranne i cattivi), ma sempre con il timore che il film finisca male. Insomma non possiamo rimanere rilassati pensando che il finale è già li nella pellicola. D’altra parte se un film è ben fatto deve risvegliare nello spettatore desideri e timori. E l’Essere, la Realtà è il miglior film che sia stato mai girato.

R. ma come potrei essere credibile con i miei pazienti frustrati: vengono per stare meglio, non per sentirsi una lezione di ontologia ! E poi se il finale fosse tragico? Se invece di essere un film a lieto fine fosse una tragedia o un’opera lirica che finiscono sempre con il buono che soccombe?

G. Credo che sia per questo che tragedie e opere liriche non smetteranno mai di essere viste e ascoltate. Rendono possibile, attraverso la magia dell’arte, l’accettazione del dolore, dell’ingiustizia, del crimine, della Realtà.

R. Insomma non c’è un bene o un male , una realtà giusta e una ingiusta, un “Io” inferiore e un “Io” superiore; c’è la Realtà così come è, e noi la vediamo un pezzettino alla volta e, pure riguardo a noi stessi, ci vediamo un pezzettino alla volta sperando nel lieto fine, ma a volte ci sbagliamo e si trattava di una tragedia.

G. Ma secondo te è più bello Re Lear o il film Pretty Woman ?

R. Sei pessimista ?

G. Pessimista/ottimista, giusto/sbagliato, io inferiore/io superiore ! Di nuovo Platone !?